Cominciamo spiegando il significato di alcune nuove parole che introducono concetti rivoluzionari e che a molti risulteranno ancora sconosciuti, sebbene in Europa e in alcune multinazionali si utilizzino già da tempo.

Short work: letteralmente “lavoro breve”, che non significa soltanto lavorare meno, tipo part-time, ma lavorare meno ore mantenendo invariati stipendio e benefit aziendali che si percepivano precedentemente, cioè quando invece di 6 si lavoravano 8 ore al giorno.

Work/Life Balance, ovvero l’equilibrio tra lavoro e vita privata. Significa che se lavorate troppo, lavorate inutilmente e sarete sempre troppo occupati per godervi la vita ed essere felici. Lavorare troppo, infatti, non equivale a lavorare di più. Quando si superano le 50 ore di lavoro settimanale la produttività crolla. Lavorare per 70 ore a settimana equivale a lavorarne 55, in termini di risultati ma annienta la vita privata e i momenti dedicati al relax e alla famiglia.

Nelle aziende in cui il work/life balance è rispettato, i lavoratori producono il 21% in più rispetto ai propri colleghi con un orario lavorativo di 8 ore. Una settimana lavorativa da 40 ore assicura all’azienda la massimizzazione di profitti e produttività. Senza parlare del fatto che lavorare troppo ha delle conseguenze profonde sulla salute.


Le aziende che hanno ridotto l’orario, continuano a essere soddisfatte della scelta. Un esempio è Filimundus, società informatica di Stoccolma che sviluppa app e giochi per bambini

La Filimundus ha ridotto l’orario a dicembre 2014. «In Svezia – ci spiega il CEO Linus Feldt – generalmente si lavora per 8 ore, escluso il pranzo. Questo significa che le persone in genere rimangono per 9 ore sul posto di lavoro. La giornata, a Filimundus, invece, è di 7 ore: 6, più una dedicata al pasto».

È stato Feldt, da sempre interessato al giusto equilibrio tra vita e lavoro e convinto che si passi troppo poco tempo con le famiglie, a voler introdurre l’innovazione: si è ispirato ai libri di Richard Branson, imprenditore britannico, fondatore del Virgin Group, e di Tim Ferriss, autore di Ricchi e felici lavorando dieci volte meno.

Ai dipendenti sono stati garantiti lo stesso stipendio, gli stessi contributi, i benefit che avevano prima. Ma l’azienda ha chiesto di rispettare gli orari e di rinunciare ai social e a tutte le piccole cose a cui ci si dedica quando si è annoiati e stanchi. Le sei ore sono suddivise in tre prima e tre dopo il pranzo.

«Il risultato – dice Feldt – è che i dipendenti sono felici sia quando arrivano che quando se ne vanno. Non si sentono affaticati come dopo una lunga giornata di lavoro. Stanno meglio, ci sono meno conflitti con i colleghi e più concentrazione. A Filimundus abbiamo sia grafici che programmatori. I programmatori riferiscono che, da quando l’orario è ridotto, si sentono più perspicaci: essere stanchi porta a fare errori. Hanno anche la sensazione di essere più produttivi. I grafici tendono a fare un lavoro più lineare. Dicono che fanno meno rispetto a quando la giornata lavorativa era di 8 ore. Ma solo un po’ meno, non il 25%».

E per l’azienda? Quali sono stati gli effetti? «Non abbiamo notato un cambiamento in termini di produttività e non abbiamo dovuto cambiare le nostre scadenze o i progetti. Questo non vuol dire che abbiamo aumentato la produttività. Ma i nostri dipendenti non sono distratti, come succede negli uffici dove si lavora per 8 ore: è difficile rimanere concentrati per così tanto tempo. Noi abbiamo eliminato quegli sprechi di tempo».

Inoltre, «le assenze per malattia sono scese quasi del 25%. Noi crediamo che le persone felici siano meno inclini ad ammalarsi. Vengono chiesti anche meno permessi per uscire prima dal lavoro: se c’è bisogno di fare qualche commissione, adesso c’è il tempo necessario. In termini di utili, non c’è stata alcuna differenza. Ma il valore complessivo della società è salito alle stelle: quando la gente ha saputo del nostro cambiamento, si è resa conto che abbiamo veramente a cuore i nostri dipendenti. Questo, oggi, vale molto».


In Italia, a favore della riduzione si è espresso anche Domenico De Masi, professore di Sociologia del lavoro alla Sapienza di Roma, al quale l’M5S ha commissionato la ricerca ‘Lavoro 2025’ e che a FQ Millennium ha esposto il suo pensiero partendo da un dato: “in Italia lavoriamo 40 miliardi di ore all’anno divise per 1.800 pro-capite con un totale di circa 23 milioni di posti di lavoro, mentre sul mercato ci sono sei milioni di disoccupati. Se io dividessi lo stesso monte ore per l’orario francese (1.482 ore all’anno procapite) – ha ipotizzato De Masi – avrei oltre 4 milioni di posti di lavoro in più. Se poi lavorassimo come i tedeschi (1.371 ore pro-capite) ne avremmo quasi 6,6 milioni in più. Eppure in Italia poco si è fatto, anche rispetto ad altri Paesi europei”.


IL CASO SVEZIA:

Certo, ci sono le dovute eccezioni: ad esempio tutti quei lavori in cui diventa fondamentale il tempo, in termini di ore, durante il quale si eroga il servizio. Un esempio può essere l’orario di apertura e chiusura di un ufficio pubblico, oppure, in un ospedale, il tempo entro cui è possibile accedere a cure o servizi medici in genere.

In questi casi, non potendo ridurre l’orario di apertura al pubblico senza creare un disservizio, si sarebbe reso necessario programmare delle assunzioni aggiuntive che coprissero l’orario lavorativo decurtato ai dipendenti. Proprio questa è stata la motivazione che ha causato l’interruzione dell’esperimento di 6 ore lavorative presso gli uffici pubblici e nel campo sanitario nel comune di Göteborg in Svezia.

Nell’ospizio di Svartedalen, ad esempio, si erano registrate meno assenze, una migliore qualità dell’assistenza agli utenti, dipendenti più riposati. Ma, per compensare le ore di lavoro in meno, era stato necessario assumere altre 17 persone, spendendo 1,3 milioni di euro in più. Il rovescio della medaglia che non poteva essere ignorato.

L’esperimento è stato interrotto ma non abbandonato perchè  i miglioramenti sono stati davvero sostanziali.

Innanzitutto l’orario di lavoro ridotto ha avuto l’effetto di una diminuzione del 10 per cento dei permessi per malattia. Molte infermiere hanno iniziato a spendere più tempo del loro orario lavorativo per “attività sociali” con i pazienti, come passeggiate all’aperto o giochi, particolarmente utili nella cura di quelli affetti da demenza.

Si discute ancora oggi su una possibile soluzione di compromesso che, se raggiunto, aumenterebbe la performance degli operatori e la qualità del servizio in modo permanente.

Queste problematiche non sussistono nella maggior parte delle aziende, dove conta la qualità del servizio offerto e non il tempo impiegato per produrlo o erogarlo.

Quindi, a questo punto, che abbiate una piccola, media o grande impresa, non vi resta che provare!