Negli ultimi 40 anni, negli Stati Uniti e in Europa, è stato fatto uno sforzo enorme per ridurre l’impatto ambientale delle industrie in generale e delle nostre economie. La riduzione che abbiamo portato a termine in questi ultimi 40 anni è stata di circa il 30% delle emissioni di CO2 nell’atmosfera. Parallelamente, negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, purtroppo, questi sforzi sono stati vanificati dall’enorme impatto che hanno avuto le economie emergenti, soprattutto Cina e India, che hanno addirittura, in alcuni casi come quello cinese, duplicato il loro impatto ambientale.

Il discorso, quindi, è: la domanda da porsi è se ha senso portare avanti le politiche ambientali così dannose per il nostro sistema economico senza un coordinamento globale, soprattutto di grandi paesi come Cina e India, nei confronti di questa tematica.

Che senso ha costringere le nostre aziende e il nostro sistema economico a rinunciare all’utilizzo dei combustibili fossili, spingendo appunto verso l’utilizzo delle fonti rinnovabili, senza però che i paesi più impattanti sotto questo punto di vista, Cina e India, facciano lo stesso?

Stiamo creando un sistema socio-economico e delle politiche ambientali che sono disincentivanti per tutta una serie di industrie che basano il loro ciclo produttivo sull’utilizzo dei combustibili fossili, e stiamo spingendo, ormai da vari decenni, queste industrie a delocalizzare in questi paesi.

Cosa fanno queste imprese?

Si delocalizzano in paesi in cui le politiche ambientali e sociali sono molto meno stringenti, inquinando il pianeta allo stesso modo ma creando comunque un flusso e un deflusso di investimenti nei nostri paesi, parlo principalmente dell’Europa e degli Stati Uniti. Questo grandissimo processo avviato verso la fine degli anni ’80, inizio anni ’90 e che continua tutt’oggi, ha creato uno sbilanciamento tra le aziende che si trovano in questi paesi e le aziende che si trovano in Occidente. È enorme!

Noi oggi dobbiamo, dal punto di vista imprenditoriale, far fronte a tantissime giuste politiche che salvaguardano l’ambiente e quelli che sono in primis diritti umani. Ma se non obblighiamo i paesi come Cina e India ad osservare queste nostre stesse politiche e spingiamo le nostre imprese su un territorio comune, quello del grande mercato libero, a competere con aziende non alla pari perché non osservano e non applicano le nostre stesse leggi, soprattutto riguardanti l’ambiente e il rispetto dei diritti umani e delle risorse umane, tutto ciò sta creando un enorme sbilancio sia dal punto di vista socio-economico che politico, sia dal punto di vista ambientale.

Negli ultimi 30 anni, il livello di emissioni è schizzato di oltre il 40%, e abbiamo una situazione ambientale disastrosa rispetto a 30 anni fa. Quindi, tutto ciò che abbiamo fatto negli Stati Uniti e in Europa e tutti gli sforzi economici che abbiamo soprattutto messo in essere in questi 30 anni per ridurre il nostro impatto ambientale sono totalmente vanificati dall’enorme impatto che hanno avuto le economie emergenti, soprattutto cinesi.

Per sintetizzare, l’unica strada da perseguire è quella di adottare delle leggi tali per cui le aziende che esportano prodotti e servizi all’interno della nostra comunità economica europea e anche americana vengano obbligate a rispettare le nostre stesse politiche ambientali e politiche sociali, altrimenti creano soltanto una concorrenza sleale da parte di queste aziende nei confronti delle nostre aziende, senza risolvere assolutamente il problema ambientale, soprattutto quello delle emissioni di CO2, che oggi è diventato un punto focale delle politiche economiche europee e statunitensi.

Se non prendiamo una strada molto netta di limitare quelle che sono le possibilità di queste aziende di esportare all’interno dei nostri mercati senza rispetto delle regole che noi stiamo applicando per le nostre aziende, seguiamo un principio folle che non risolverà, anzi aggraverà la situazione ambientale in termini di emissioni di CO2 e andrà ad aggravare e pesare sulle nostre aziende in modo disastroso, come abbiamo visto negli ultimi decenni.

Uno dei dati principali che ci consente di sintetizzare le norme spese che abbiamo messo in atto nei paesi occidentali è il debito PIL.

Se andiamo ad analizzare l’andamento del debito PIL di tutti i paesi occidentali, vediamo che partiamo da una media del 30-40% negli anni ’80, fino ad arrivare a una media di circa il 120-130%, fino al massimo che ha raggiunto il Giappone di oltre il 300% del debito PIL negli ultimi anni. Quindi, un incremento di 4-5 volte mediamente rispetto a quello che era qualche decennio fa, quindi un peggioramento incredibile della situazione economica di tutti i paesi occidentali, fatto salvo pochissime eccezioni, che peserà enormemente sulle generazioni future.

Se tutto questo debito fosse stato utilizzato per salvaguardare l’ambiente e avessimo effettivamente raggiunto dei livelli di decarbonizzazione sufficienti, potremmo dire insomma che questi soldi sono stati spesi almeno in modo corretto. In realtà, non è stato così, perché il peggioramento che c’è stato negli ultimi decenni della situazione ambientale a livello globale è sotto gli occhi di tutti.

Quindi, si è creato uno sbilanciamento tra quelle che sono le politiche ambientali e le politiche economiche dei paesi occidentali e quella che è la realtà dei fatti che deve assolutamente essere risolta o riallineata.